VanniGio/ Luglio 17, 2014/ Pensieri/ 3 comments

Una volta, al tempo della lira, curai per un cliente l’acquisto di una vasta proprietà in campagna, comprendente molti ettari di terra, alcuni casolari ed una bella villa con tanto di parco secolare. Tutto ciò costituiva la residenza di campagna della vedova di un banchiere milanese che, data l’età e la fuga dei figli all’estero, si era decisa a vendere. Questa signora anche nell’aspetto incarnava esattamente il suo stato, una bellezza sfiorita, elegante nel vestire, signorile nei modi, gentile ma distaccata nei rapporti. Vedova di un banchiere milanese appunto. La vendita veniva fatta, come si suol dire, ” a cancelli chiusi”. Cioè gli immobili comprensivi di tutto ciò che contenevano. In quel caso si trattava dei mobili della villa, alcuni dei quali erano di pregio, dei trattori ed altri attrezzi usati per la coltivazione degli oltre 350 ettari del fondo agricolo. La trattativa fu lunga e complessa, la proprietaria dei beni volle conoscere sia l’acquirente che me e le nostre famiglie in un pranzo domenicale imbandito nel parco della villa. L’abbigliamento country chic e comunque l’aspetto della padrona di casa, fece subito intendere che il pranzo era stato preparato da alcune donne della zona prestate al mestiere di cuoche. Probabilmente le stesse che poi servirono in tavola. La vedova, seduta a capotavola, era accompagnata alla sua destra da quello che si diceva essere il suo attuale compagno, un uomo sulla settantina, lei ne aveva qualcuno di più per l’occasione vestito con una camicia a quadri di poco pregio e degli imbarazzanti pantaloni corti. Il “ganzo”, come lo avremmo chiamato di lì in poi, parlò tantissimo di tutto, e miracolosamente riuscì anche a mangiare doppia razione di tutto quello che le donne portarono in tavola. Noi lo assecondammo senza farci travolgere. La signora, dalla sua posizione di capotavola, ascoltò molto; con distrazione il suo compagno, con attenzione me ed il mio cliente, con molto interesse le nostre mogli. Ebbi la sensazione che volesse capire chi eravamo da quello che le raccontavano le nostre mogli. Interloquimmo tutto il pranzo, su molti argomenti e, probabilmente grazie alle nostre mogli, superammo l’esame. La settimana successiva, nello studio di un avvocato milanese, si procedette alla sottoscrizione del tanto agognato compromesso ed al pagamento di una sostanziosa caparra confirmatoria “necessaria per la tranquillità di tutti” . Il mio cliente era felice, ed io con lui. Una delle poche concessioni che la proprietaria ci aveva, bontà sua, dato era che avremmo potuto prendere possesso della villa di lì a pochi giorni, giusto il tempo per la signora di organizzare il trasloco dei suoi effetti personali e di due mobili di antiquariato che era stato previsto, all’ultimo momento su richiesta esplicita del “ganzo”, non facessero parte dell’affare. Poi nel giro di un mesetto, giusto il tempo di sistemare alcune carte con la banca avremmo acquistato la proprietà con tutti i suoi beni. Tutto pareva andare per il meglio, il mio cliente aveva la sua bella azienda agricola ed io un bel po’ di lavoro da fare.

Dopo una decina di giorni, per tramite dell’avvocato milanese, arrivò finalmente la notizia che la signora aveva traslocato e che potevamo andare alla villa, dove un incaricato ci avrebbe consegnato le chiavi. Fui inviato a prendere possesso della bella villa sulla collina che dominava i campi in pianura. Là trovai ad aspettarmi l’unico contadino rimasto alla fattoria che con modi sgarbati mi consegnò un gran mazzo di chiavi dandomene sommaria descrizione. Poi mi salutò tenendo la sigaretta in bocca e se ne andò con la sua Fiat uno, bianca e polverosa. Rimasi, sotto il sole di luglio, in mezzo alla strada sterrata che passava a fianco della villa con in una mano la mia borsa da lavoro e nell’altra le chiavi di tutto quel ben di Dio a guardare la nuvola di polvere bianca che si era alzata dietro alla uno. Entrai nella villa, dopo aver provato quasi tutte le chiavi che mi erano state consegnate, dalla porta secondaria che dal parco dava nella cucina. Ero felice che quell’affare fosse andato in porto, gli immobili sparsi nella proprietà erano tanti e sicuramente avremmo trovato buoni acquirenti, i terreni sarebbero rimasti al mio cliente, i tanti locali della fattoria una volta ristrutturati sarebbero diventati begli appartamenti nella campagna toscana e la villa … la villa dovevamo ancora pensare a cosa farci, ma così bella e ben arredata potevamo anche pensare di affittarla per cerimonie o meeting. Mentre pensavo queste cose girando per le stanze mi resi conto che qualcosa non andava. Avevo la sensazione che mancasse … Ma si, mancavano alcuni mobili, e le chiazze chiare rimaste alle pareti dettero certezza a quella sensazione.   Feci un rapido giro, avevo visitato la villa diverse volte durante la trattativa, e mi accorsi che erano stati portati via, oltre ai due previsti dal contratto, almeno un’altra dozzina di mobili. Per quanto mi ricordassi quelli che mancavano erano i più belli e costosi. Telefonai subito al mio cliente. Mi disse “non è possibile, ci dev’essere un errore, nel compromesso c’era scritto chiaro cosa potevano prendere.” Convenimmo di chiamare il “ganzo” per chiedere spiegazioni, senza disturbare la signora che sicuramente non sapeva niente di questo misunderstanding. Il soggetto fu molto evasivo e ci disse di contattare l’avvocato milanese perchè lui avrebbe messo le cose in ordine per la soddisfazione di tutti. L’avvocato, in un primo momento occupato, ebbe la creanza di richiamare il giorno successivo invitandoci ad andare a Milano da lui per risolvere la questione. Alla mia considerazione che non serviva spostarsi bastava che si spostassero i mobili ritornando al loro posto l’avvocato, che era molto più anziano di me, mi disse “ragioniere, non è così  semplice mi dia retta venga da me”. L’età, il tono paternalistico, l’interesse del mio cliente mi convinsero che la cosa valeva un viaggio a Milano e così il giorno successivo alle 11 precise io ed il mio cliente eravamo nella sala d’attesa del noto ed anziano avvocato milanese.

Dopo dieci minuti di anticamera una impiegata ci fece accomodare nello studio del professionista. Una stanza piccola rispetto alla notorietà dell’avvocato, arredata con mobili vintage di scarso valore. Come tutti gli avvocati aveva davanti a se sulla scrivania, pile di fascicoli rilegati dentro economiche cartelline di colore verde sbiadito, oltre che a diversi libri aperti e altri chiusi infarciti di tanti segnalibro. Su un lato del tavolo teneva la pipa e la scatola del tabacco. Si alzò in piedi al nostro ingresso e ci strinse la mano, chiedendoci come fosse andato il viaggio. Rispondemmo un “bene” all’unisono che praticamente voleva dire non perdiamo tempo ci dica dei mobili. L’avvocato capì e tirò fuori da un fascicolo l’elenco dei mobili che erano stati portati via dalla villa, insieme fece comparire anche un altro documento che recava l’intestazione di una casa d’aste: era la perizia dei mobili sottratti. Poi ancora da un cassetto, mentre noi lo guardavamo senza capire dove stesse andando a parare, tirò fuori un assegno e lo mise sulla scrivania davanti ai nostri occhi. Ci sporgemmo incuriositi entrambi per vedere quanto il nostro interlocutore aveva apparecchiato davanti a noi. “Lire Cinquantaquattromilionisettecentomila” era la somma che era scritta in bella calligrafia femminile sull’assegno. I nostri sguardi incrociarono quelli che ci stavano scrutando dall’altra parte della scrivania. Le nostre espressioni divennero due grandi punti interrogativi. L’avvocato allora con tono serio ci disse che la signora aveva fatto valutare i mobili da “una importante e assolutamente irreprensibile casa d’aste” e che aveva già predisposto l’assegno per il loro pagamento esattamente al valore di perizia, “senza nessuno sconto”. Rimanemmo un attimo in silenzio, increduli. Il mio cliente fu più veloce di me a riprendersi dalla sorpresa e disse all’avvocato che il contratto sottoscritto non prevedeva questa possibilità e che i mobili valevano almeno il triplo di quanto la signora stava offrendo. L’avvocato sostenne che lui non era in grado di valutare i mobili ma che non aveva nessun motivo per dubitare dello stimato estimatore e della sua cliente, la quale era conosciuta in tutta Milano per i suoi meriti filantropici e la estrema correttezza e bontà d’animo. Sentivo il sangue ribollirmi. Non era possibile che la vedova ed il suo “ganzo” avessero la sfacciataggine di fregarci così e l’arroganza di farlo alla luce del sole. Eppure lo stavano facendo. Lo facevano dire all’anziano avvocato il quale, anche con un certo imbarazzo, si sforzava di dirci che non capiva quale fosse il problema, i mobili non c’erano più ma al loro posto c’era quell’assegno valutato più che congruo dalla nota casa d’aste. Il fatto che il contratto preliminare non contemplasse minimamente tale possibilità per il giurista era del tutto trascurabile. Al termine del suo bizzarro discorso, soprattutto perchè tenuto da un avvocato, chiosò con una frase che il mio cliente, più anziano ed esperto di me delle cose umane, comprese al volo “… E poi un affare così grande, con una caparra così importante già versata, non vorrete mica bloccarlo con una causa che duri dieci anni ? “. A quelle parole il mio cliente prese dalla scrivania l’assegno e la perizia e si alzò in piedi per congedarsi da quella scomoda situazione, allungò la mano verso il professionista per salutarlo e disse “Avvocato ho capito. Grazie per la pazienza e mi saluti la sua cliente. Ci vediamo al contratto” . Io ero rimasto di sasso, ma come ci lasciavamo fregare così? Pensavo. Mi alzai anche io presi dalla tasca mille lire e le misi sulla scrivania, poi presi la pipa, il tabacco che l’anziano professionista aveva il vezzo di fumare, salutai e mi avviai verso la porta. “Ragioniere ma cosa fa ? Ha preso la mia pipa”. Era esattamente quello che volevo sentirmi dire. “Si avvocato, ho voglia di farmi una fumatina durante il ritorno, ma non si preoccupi le ho messo mille lire sulla scrivania io sono una persona stimata e ho reputato che quei soldi siano anche più di quanto le servirà per poter fumare oggi pomeriggio.” L’avvocato capì e scoppiò a ridere insieme al mio cliente. Tornai verso di lui soddisfatto, gli restituii la sua pipa ed il suo tabacco e lui stringendomi la mano mi disse: “ragioniere non se la prenda lei è giovane ma imparerà presto … Sono ebrei”.

Share this Post

3 Comments

  1. Al di là della forma…dell’aneddoto in se…del singolare epilogo …non sono esperta nel valutare uno scritto…
    Ma, mi è piaciuto leggerlo oggi…mi è piaciuto rileggerlo con calma questa sera.. mi è piaciuto immaginarti a scriverlo…
    Però la cosa che mi è piaciuta di più è che sei riuscito a portarmi in quella campagna..al quella tavolata, su quella strada calda e sterrata, in quello studio notarile… mi sembrava di vedere tutto chiaramente…
    Anto

    1. È il miglior complimento possibile. ( ma forse lo sapevi)

      1. E’ ciò che ho sentito sulla pelle….

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*