La mina
Capitolo trii – la cartolina.
– E’ ancora su, nella camera della defunta. Certo maresciallo … appena scende la faccio chiamare mi lasci il numero … si scrivo … zerocinquecinque … ottantaquattro … trentasette … zeroquaranta. Non dubiti la faccio chiamare … Buongiorno.
Marina non riusciva a staccare gli occhi da Lapo che accompagnava sua madre in giardino a fare due passi. Che bella scena, erano così dolci insieme e la camicetta lilla che aveva fatto indossare ad Agnese le stava proprio bene. Meno male che quella mattina la Castaldi l’aveva sostituita per i dieci minuti necessari a salire in camere di Agnese ed aiutarla a vestirsi e pettinarsi prima che arrivasse Lapo.
Mentre era incantata a guardare quella strana coppia che a braccetto stava uscendo in giardino per godersi l’aria calda di una mattina di Maggio, una mano si mosse davanti ai suoi occhi:
– Signorina … signorina … sveglia!
– Oh … dottore … mi scusi mi ero incantata.
– Si … l’ho visto. Senta io avrei finito, lascio a lei il certificato di morte?
– Si … si lasci pure a me. Ci penso io per le pratiche.
In quel momento si avvicinò al bancone Anselmo che fino ad allora aveva aspettato passeggiando nell’atrio.
– Dottore se lei ha finito … io andrei a … a preparare il cadavere.
A Marina le parole di Anselmo fecero un certo effetto. La Mina chiamata “cadavere” le dette definitivamente il senso della morte e della fine di una vita che tutti i giorni negli ultimi due anni aveva interagito nel bene e nel male con la sua. Purtroppo, pensò banalmente Marina, “quando Dio ci chiama …”; a proposito di chiamare, le tornò alla mente la promessa che aveva fatto poco prima al telefono e superando nell’attenzione del dottore sia Anselmo che la sua richiesta, per paura di dimenticarsi ancora dell’incombenza che le era stata affidata disse:
– Scusa Anselmo solo una cosa… dottore, ha chiamato il maresciallo Sforza della stazione di Montalto le voleva parlare … ha detto se lo poteva richiamare a questo numero.
Marina allungò al dottore il post-it con il numero della stazione dei Carabinieri di Montalto.
– Sarà per il referto sulle cause di morte … posso chiamare da qui ho il cellulare scarico ?
Chiese il dottore al quale Marina rispose con un sorriso di comprensione ponendogli sul bancone il telefono bianco in dotazione alla reception.
Mentre il dottore, reggendo la cornetta con una spalla, iniziava a digitare il numero scritto sul biglietto, Anselmo, che era rimasto educatamente in silenzio appeso alla sua domanda, gli si parò sotto gli occhi e con l’indice alzato cercò di farsi notare per sottolineare come lui fosse sempre in attesa del permesso di recarsi dalla defunta. Il dottore annuì distrattamente facendo piccoli movimenti con la testa per evitare di far cadere la cornetta dando, con tale gesto il via libera al dipendente della Misericordia che non vedeva l’ora di finire il lavoro in modo da essere a casa per l’ora di pranzo.
Marina lo vide fare gli scalini a due a due e scomparire dopo la prima delle due rampe di scale che davano accesso al piano dove erano situate le camere degli ospiti, vivi e … morti.
Il colloquio fra il dottore ed il maresciallo Sforza durò meno del tempo che era stato necessario all’appuntato di turno per rintracciare il superiore all’interno del bagno della stazione ed essere apostrofato con un
– Porca puttana Gagliardi ma nemmeno al cesso si può stare in pace in questo posto.
Una volta che il graduato rispose al telefono il colloquio si ridusse, da parte del dottore, a due o tre “si” un “no” ed un breve commiato. Una conversazione che i due pubblici ufficiali si sarebbero risparmiati volentieri l’uno per conoscere, seduto dov’era , da un noto giornale scandalistico la verità sulle presunte corna di Corona a Belen e l’altro per poter terminare il giro delle visite sospeso a causa della chiamata per quella constatazione di morte. Avuta notizia, posto che a Montalto nessuno si faceva gli affari suoi, del fatto che la Mina, un’anziana ospite del ricovero, era stata rinvenuta morta nel suo letto e che nessuno aveva assistito alla sua dipartita dalle cose terrene, il maresciallo Sforza si era sentito in dovere di svolgere l’indagine di rito e parlando con il dottor Migliorini gli aveva chiesto se la defunta rispondesse al nome di Lulli Mina, se ne avesse constatato il decesso, se le cause del decesso fossero naturali e infine se poteva trattarsi di morte violenta. Il dottor Migliorini aveva risposto con i seguenti monosillabi: si, si, si, no. Seguirono i grazie e gli arrivederci di rito prima che le due cornette ritornassero nella loro usuale posizione di riposo.
– Hai saputo che la signora Lulli è morta ?
Lapo aveva sempre ammirato la capacità di sua madre nel tenere i rompiscatole, e la Mina era sicuramente classificabile fra questi, educatamente a debita distanza, la qual cosa a lui non riusciva così bene, seppure si esercitasse quotidianamente nell’arte.
– Si, mamma ho saputo, c’era Anselmo della Misericordia a portarla via.
– Poveretta proprio ora che le aveva scritto il fratello ed era tutta felice.
– Mamma … la signora Lulli aveva un solo fratello e …
– Certo, lo so Fernando. Ha il negozio di scarpe nel corso.
Lapo non continuò capendo che la mamma non si ricordava che l’unico fratello della signora Lulli, Fernando appunto, era morto da diversi anni. Poi la assecondò mentre la faceva accomodare sulla panchina, chiedendole.
– Le ha scritto una lettera ?
La mamma gli rispose ridacchiando:
– Ma no, figurati … i fratelli Lulli che si scrivono una lettera, per dirsi cosa? Le ha mandato una cartolina, ma non ho capito dove sia a fare il turista.
– Te lo ha detto la signora Lulli ?
– Si, mi ha fatto vedere una cartolina. Però un po’ per il buio un po’ perché senza occhiali non ci vedo a dire il vero ho visto solo i colori della foto; mi ha detto che le arrivava dal fratello.
– Quando te lo ha detto mamma, stamani ?
Chiese Lapo per vedere se almeno la memoria a brevissimo termine di sua madre non fosse fuggita insieme a quella a breve.
– Macchè stamani, che ringrullisci la signora Lulli è morta stanotte. Lapo guardami! Non berrai mica eh?
– Ma no mamma, ma cosa dici?
– Sembrava proprio felice, e mi è venuto di pensare “la vuol morire” e stamani … Oddio che avrò fatto peccato?
– Ma quale peccato mamma, è un modo di dire … poi stavolta … purtroppo.
No la memoria a brevissimo era ancora lì ed aveva risposto: presente! Rimaneva comunque il problema che la mamma non si ricordasse che il Lullino era morto da anni e che non poteva essere in vacanza a fare il turista né tanto meno poteva scrivere cartoline alla sorella. A meno che non avessero istituito un servizio di posta aerea fra l’aldilà e l’aldiquà. La mamma, chissà per quale recondita relazione all’interno del suo cervello, si era sognata tutto.
– Si dice un rosario insieme per la signora Lulli ?
– Dai mamma, lo sai come la penso non chiedermelo. Tu fai io ti aspetto qui in giro mentre preghi.
– Tu sei come il babbo, duro come le pine (versione dialettale di pigne). Quando arriverai di là dovrai rendere conto … e allora poi …
A quelle oramai conosciutissime parole, Lapo che aveva le mani nelle tasche dei jeans, non resistette dal darsi una grattatina scaramantica. Per farsi perdonare per il rifiuto alla preghiera, si abbassò verso di lei e le diede un altro bacio sulla guancia.
– Si … si … come il babbo, buoni … ma basta non rammentarvi la chiesa.
Poi tirò fuori dalla tasca del cardigan il rosario ed iniziò a pregare.
Il rapporto di Lapo con la religione non era mai stato idilliaco. Pur credendo che l’universo non potesse essere opera del caso, riteneva che chiunque avesse avuto il potere di concepire qualcosa di così stupendamente complesso, armonico e bello non potesse in alcun modo essere rappresentato nella mente di un uomo. Era convinto che la bestemmia più grande era proprio rappresentata dalla presunzione degli uomini di dipingere un Dio ragioniere che con il suo libriccino delle regole selezionava i giusti e gli empi, guarda caso utilizzando regole molto umane e poco universali.
La sua ragione non gli permetteva di credere che un Dio unico limite all’infinito potesse essere capito e addirittura spiegato e anche insegnato da uomini che l’infinito non sapevano neanche immaginarlo. Con altrettanta convinzione credeva che chi, come sua madre, era dotato di fede avesse avuto un dono che nella vita gli sarebbe certamente servito prima o poi e che quindi non fossero certo persone da convertire al suo scettiscismo. Quello di cui, al limite, poteva lamentarsi era che a lui il “dono” non lo avevano fatto, almeno per il momento.
Girellava per i vialetti del giardino con questi pensieri in testa controllando ogni tanto cosa stesse facendo sua madre, quando notò dietro una pianta di rosmarino una borsa di pelle nera. Dette un’occhiata in giro per capire se vi fosse qualcuno che l’aveva appoggiata lì, poi non vedendo nessuno oltre sua madre che intanto lo stava raggiungendo appoggiata al suo bastone, si chinò e la raccolse. Solo una volta presa in mano si accorse che la borsa era bagnata dalla guazza notturna, chiaro indizio del fatto che fosse stata dimenticata da qualcuno la sera prima.
– Codesta è la borsa della signora Lulli, rimettila a posto non abbia a pensare che la s’è rubata noi.
– Mamma … allora è inutile che tu snoccioli rosari se poi … La porto a Marina saprà lei come comportarsi. Aspetta un po’ … abbia a pensare chi? … la signora Lulli è morta vero?
– Certo che è morta che te lo devo ridire un’altra volta?
– No, no. Volevo essere sicuro che …
E si incamminarono a braccetto così come erano venuti.
Non lascio commenti che già conoscevi 🙂 … solo.. se ti fosse possibile correggere, hai lasciato all’inizio del capitolo, sia “salire nella sua camera ” che “in camera di Agnese” subito attaccato. Non puoi più cambiarlo? PS hai finito tutto il racconto quindi? Quanti capitoli sono in fine?