La Mina
Capitolo eit – Il funerale.
La mattinata era trascorsa leggendo Ilsole24ore del fine settimana e quello del lunedì, prendendo l’appuntamento con la signora Mongini che gestiva l’unico ristorante del paese degno di tale nome, e preparando il bilancio rivisto e corretto per permettere al Cavicchi di mantenere i fidi che improvvidamente la banca gli aveva concesso.
A pranzo Lapo mangiò un panino al bar vicino al suo ufficio, in piedi, sfogliando la Gazzetta. Rientrò presto in ufficio, prima di Susanna, che aveva tanti difetti ma non quello della mancanza di puntualità, anzi arrivava in ufficio sempre qualche minuto prima del suo orario. Si vedeva che aveva iniziato a lavorare presto, in una epoca in cui allo scoccare dell’orario si doveva essere al posto di lavoro con tutto quello che serviva, pronti per iniziare. Non come gli era capitato di vedere con qualche giovane assunto nei periodi di maggior lavoro, quelli allo scoccare dell’orario se andava bene erano a parcheggiare la macchina all’inizio della giornata e sempre al parcheggio ma a riprenderla alla chiusura. Era una brava segretaria, aveva solo alcuni piccoli difetti per il mantenimento dei quali lei avrebbe dato la vita. Vedi la cenere scossata rigorosamente per terra.
Il cellulare da sotto una pila di fogli si fece sentire vibrando sul tavolo come certe volte fanno i mosconi quando non li colpisci a morte e allora girano sul pavimento come trottole cercando di riprendere il volo.
“Io e tua madre siamo già qui. Ci sono poche persone.”
“Marina, la mamma e il funerale della Mina”. Sembrava il titolo di un film. Se ne era dimenticato. Cosa fare? Andare o continuare a lavorare? A dire il vero aveva già deciso di non andare, ma Marina con le sue parole aveva fatto leva sui suoi sensi di colpa. Scrivere “Ci sono poche persone” per un buono come era Lapo equivaleva a puntargli una pistola alla tempia per convincerlo ad andare al funerale. Mentre usciva comunicò a Susanna, che nel frattempo era rientrata, dove stava andando e che sarebbe rientrato di lì a poco. Infatti non aveva intenzione di andare al cimitero e compatibilmente con le possibilità che il caso gli avrebbe regalato avrebbe cercato di scansare anche la Messa. Avvicinandosi alla cappella della Misericordia, che distava forse cento metri dal suo studio, non poté fare a meno di pensare che non c’era certo da aspettarsi il tutto esaurito al funerale della Mina. Quella donna in vita non era riuscita a farsi un amico che fosse uno. Da lei non sarebbe andato nessuno neanche avesse organizzato una festa di carnevale, pensa ad un funerale.
Quando arrivò davanti alla cappella Anselmo stava sistemando sul carro funebre l’unica ghirlanda di fiori che era stata mandata. Sul nastro viola c’era scritto asetticamente: “ Villa la Querce”. Con Anselmo si scambiarono il solito quasi impercettibile gesto di saluto: un movimento lento della testa dal basso verso l’alto.
La bara era già stata caricata ed il vano di carico era già chiuso. Il primo in ordine di apparizione dietro la Mercedes adibita al trasporto dei defunti era il parroco don Paolo. Un passo più indietro due confratelli della Misericordia con vestito e cappuccio nero e due fiaccole spente in mano che parevano essere stati tele trasportati lì dal più profondo medioevo.
Marina ed Agnese occupavano le posizioni che normalmente sono riservate ai parenti più stretti, in testa al corteo. Lapo pensò che la conferma di quanto aveva appena pensato circa la Mina era data proprio dal fatto che la dipendente della casa di cura e una degente risultavano ricoprire i primi posti subito dietro gli officianti. Dietro di loro, in attesa che il corteo partisse c’era il rag. Domenico Mori, che anche lui con un segno della testa ed una smorfia delle labbra salutò il collega che si stava avvicinando. Al lato in posizione tale da permettergli una volta che il corteo fosse partito di dileguarsi c’era il ragazzo del bar Micheli. Lapo cercò di pensare a quale motivo potesse avere per essere lì, ma non ne trovò. Così come non trovò un motivo per la signora con gli occhiali scuri che precedeva Beppe Niccolai ultimo nel piccolo corteo.
Tenendo escluso Beppe Niccolai che non era totalmente in grado di intendere e di volere e che presenziava a tutti i funerali celebrati a Borgo Mulino, la platea degli afflitti si riduceva a cinque persone compreso Lapo. Anzi sei se si considerava il ragazzo del bar, questo però seguì il feretro giusto fino al primo incrocio nel quale riprese la strada del suo locale, diametralmente opposta alla chiesa. Pur volendo inserire anche lui fra gli intervenuti, i partecipanti al doloroso percorso risultavano decisamente pochi.
Lapo si infilò fra Marina e sua madre e le prese entrambe sotto braccio. Sua madre aveva un velo nero sulla testa ed in mano teneva il suo rosario. Gli fece cenno di avvicinarsi, Lapo si piegò verso di lei per ascoltarla.
– Il babbo?
– Non so mamma, sarà stato occupato.
La donna scosse la testa in segno di disapprovazione mista a delusione, si rigirò in avanti e si riaccodò immediatamente a voce alta all’Ave Maria che don Paolo stava recitando.
Il rincorrersi delle Ave Maria, duettato fra don Paolo e sua madre gli fece balzare alla mente l’immagine di due ciclisti in fuga. La ribalta spettava ora all’uno, ora all’altra proprio come due corridori che ritmicamente si danno il cambio, rinunciando alla testa della corsa in un alternarsi ordinato.
Fu distolto dal compiacimento per la metafora trovata dalla mano di Marina che gli stringeva il braccio sinistro. Si girò verso di lei e le disse sussurrando:
– Mi hai fregato, non sarei venuto non fosse stato per te. Sai come prendermi.
Lei stringendolo ancora di più gli rispose,
– Avevo voglia di vederti, scusa.
Aveva i capelli raccolti in una coda, niente trucco, ma le sue labbra erano così lucide che qualcosa doveva averci messo su. Sopra ad una maglia bianca portava una giacca blu, jeans e scarpe da ginnastica: era bellissima.
Nel breve tragitto dalla cappella della Misericordia fino alla Chiesa Lapo ebbe modo di riflettere, come gli succedeva spesso ai funerali. Pensò al giorno in cui avrebbe dovuto accompagnare sua madre in quel triste ultimo viaggio. Cercò di ricordarsi il funerale di suo padre, ma non gli tornò in mente quasi niente di quel giorno, anche se si sentì il groppo alla gola e gli occhi bruciare mentre gli si allagavano. Si commosse al pensiero del babbo, però riuscì con indifferenza ad asciugarsi senza che nessuno se ne accorgesse.
Arrivati davanti alla chiesa l’auto si fermò. Il prete, Agnese ed ora anche Beppe Niccolai continuarono a recitare il rosario a voce alta, mentre Anselmo scese dalla macchina, aprì il portellone posteriore e con gli occhi cercò qualcuno che potesse aiutarlo a sollevare la bara fino in chiesa. I primi ad essere arruolati furono i due confratelli, poi Anselmo cercò di incrociare lo sguardo di Lapo. Ma non aveva fatto i conti con la professionalità del Corsini nello schivare i rompimenti di scatole. Lapo sussurrò una cosa banale, una qualsiasi all’orecchio di Marina. Lo fece giusto nel momento in cui Anselmo lo cercò con lo sguardo. Quella mossa costò l’arruolamento a Beppe Niccolai. Il quartetto di portantini fu completo e Lapo salvo.
La Messa fu veloce, l’omelia molto banale e scontata, un po’ perché la Mina non era persona sulla quale fosse stato facile costruire un bel discorso di commiato, ma anche perché l’auditorium era praticamente vuoto.
Lapo durante la funzione più volte aveva cercato di capire quale potesse essere stato il momento migliore per dileguarsi e tornare al lavoro. Guardandosi intorno si era accorto che la sua dipartita si sarebbe notata molto. La pia comitiva adesso si era ridotta a quattro persone sedute nelle panche. Il Niccolai si era prestato a fare il chierichetto, ed i due confratelli ai lati dell’altare sembravano due tetri giannizzeri. Sia il ragazzo del bar che la signora con gli occhiali scuri non c’erano più, probabilmente si erano ritrovati per caso nei pressi del corteo funebre proprio mentre stava partendo dalla cappella. Lapo si rese conto che non solo non avrebbe potuto abbandonare la Messa, ma neanche non assistere alla tumulazione al cimitero.
Il quartetto dei portantini si ricompose appena finita la benedizione della salma, e la bara fu caricata di nuovo sull’auto questa volta veramente per l’ultimo viaggio. Il prete, nonostante la giovane età, salì in auto insieme ad Anselmo e i due confratelli, dopo una specie di rompete le righe dato dal celebrante, si avviarono disordinatamente verso la sede della Misericordia. Il corteo funebre si era ulteriormente assottigliato, erano rimasti solo il Corsini, sua madre, Marina e l’immancabile Niccolai. Lapo lesse sulle facce delle persone che incontrarono lungo il tragitto fino al camposanto sempre la stessa domanda: chi era quel morto che aveva così poche persone a piangerne la scomparsa?
Mentre a testa bassa camminava al fianco di Marina e sua madre , che ora cantava una nenia in latino, pensò al suo funerale. Ci sarebbero dovute essere molte persone. Avrebbe lasciato scritto che se non si fosse raggiunto un numero limite di partecipanti non si sarebbe tenuta la cerimonia in forma pubblica. Si sarebbe provveduto alla sua cremazione in assoluta solitudine.
La Mina invece fu seppellita in terra, in una fossa tagliata precisa con un piccolo escavatore dal becchino. Don Paolo impartì un’ultima benedizione, recitò ancora un’Ave Maria ed un Eterno Riposo, salutò velocemente con un cenno della mano gli intervenuti, e se ne andò portandosi dietro il Niccolai.
– Faccio una corsa a prendere l’auto, aspettatemi qui.
Disse Lapo rivolto a Marina volendo evitare a sua madre di rifare la strada a ritroso fino alla cappella. Gli rispose sua madre.
– Andate tutti e due, io vado a salutare il babbo. Gli metto dei fiori, dico una preghiera anche per lui, e poi ti aspetto sul cancello.
Marina interpretò i pensieri di Lapo e lo levò d’impiccio.
– No, vai tu da solo, anche io rimango. Ne approfitto per salutare i miei nonni. Ti aspetto qui con tua madre.
Evitando di farsi sentire da sua madre Lapo, a voce bassa mentre si girava, ringraziò Marina. Lei dolcemente non gli fece pesare la cosa e gli rispose anch’essa a bassa voce.
– Mi fanno male i piedi, meglio se rimango.
Quando, arrivato sul cancello, Lapo si girò verso i morti e li salutò con un segno di croce rivide fra le tombe la donna con gli occhiali scuri che aveva visto davanti alla cappella della Misericordia. Sembrava raccolta in preghiera davanti ad una tomba sul lato destro del cimitero, ma non era lì per la Mina perché lei la stavano ancora seppellendo nella parte sinistra del camposanto.
Fuori dal cancello gli si fece incontro Domenico Mori, il ragioniere della Mina che dandogli la mano gli chiese in maniera diretta come suo uso,
– Cosa ci fai al funerale della signora Lulli?
– No, niente è che mia madre … mia madre è ospite di Villa la Querce e allora con la signora Lulli si conoscevano.
– Ora capisco, non riuscivo a spiegarmi che legame avessi con quell’anziana e bisbetica signora. Ma mi ero immaginato qualcosa del genere. Io lo sai … ero il suo ragioniere.
– Si…si, lo so.
Il collega di Lapo volle precisare che:
– La signora non aveva figli. Anche il Lullino suo fratello non ne aveva avuti.
– Infatti in paese già si mormora di eredità lasciate a questo piuttosto che a quello. Lo sai com’è il paese.
– Già, non ci sono eredi. Dovrò aprire una procedura per eredità giacente. Sarà nominato un curatore dell’eredità che una volta liquidato il patrimonio, pagate tutte le spese e le imposte devolverà il residuo allo Stato.
– Non ha lasciato un testamento?
– No. Non lo ha mai voluto fare, diceva che portava male, e che non le importava niente di che fine avrebbero fatto i suoi soldi una volta che lei non li avesse più potuti spendere.
– Per altro mi sembra che ne spendesse pochi.
Il Mori non dette peso all’ironia del Corsini e arrivò al dunque.
– Cosa ne diresti se proponessi te al Tribunale per fare il curatore? Ho stima di te, e credo ai segnali divini. Se eri al funerale ci sarà stato un motivo.
Lapo rimase sorpreso. Il Mori era un professionista serio ed era stato il primo commercialista di Borgo Mulino. Basso di statura, calvo, con i baffetti era sempre vestito in giacca e cravatta sia nei giorni di lavoro che nei giorni festivi. Era una persona schiva ma nella comunità aveva la fama di una persona onesta. I più maligni arrivavano a mormorare che fosse massone. Ma probabilmente non lo era vista la sua confidenza con le funzioni religiose.
– Ne sarei onorato. Grazie.
– Domani inoltrerò la richiesta al Tribunale, andrò personalmente a parlare con il giudice e gli farò il tuo nome. Di solito mi ascoltano, ma non ti garantisco niente.
– Comunque vada grazie per la fiducia.
– Te lo meriti, arrivederci Lapo fammi sapere se ti arriva la nomina così ci incontriamo.
– Ciao Mori, se mi arriva ti chiamo. Comunque grazie.
Lapo strinse la mano al Mori e si avviò verso l’auto pensando che se davvero i segni divini esistono e devono essere interpretati, come spiegarsi questo continuo ritorno della Mina nella sua vita da quando era morta?