image1La Mina

Capitolo ten –  Le telefonate.

–      Si, dimmi Susanna.

–      Lapo, c’è tua madre al telefono. Ti vuole.

–      Ok, passamela.

–      Vai.

–      Mamma, ciao come stai?

–      Sto benino, non mi lamento, anche se dormo poco per via di questo dolore alla gamba. Quando inizia a farmi male non trovo posizione nel letto.

–      Ti sei fatta vedere dal dottore?

–      Tesoro, posso farmi vedere da tutti i dottori del mondo ma non riescono a togliermi trent’anni, quindi è tempo perso. Piuttosto, volevo dirti …

–      Dimmi mamma.

–      … ma come ha fatto la Mina a dirmi che il fratello le aveva mandato una cartolina? Il Lullino è morto da un pezzo.

–      Già mamma è quello che mi chiedevo anche io, come ha fatto?

–      Eppure a me la cartolina l’ha fatta vedere.

–      Azzardo, forse non hai capito bene. Ti avrà detto che gliel’aveva mandata un’altra persona e tu hai capito che fosse il Lullino.

–      Lapo ci sento benissimo. Sono sicura che mi abbia detto che era opera di Fernando e che gliel’aveva mandata lui.  Ho le sue parole ben chiare in testa. Ha anche detto qualcosa riguardo al turista, ma quello non l’ho capito bene e su quello non insisto. Per il resto sono sicura.

–      Allora non so che dirti. L’hai detto tu, il Lullino è morto da tempo. Forse la Mina già non si sentiva bene quella sera, visto com’è andata a finire, ed ha detto una cosa senza senso.

–      Sarà, a me sembrava stesse benissimo. Era allegra come non l’avevo mai vista. Pensa che mi ha anche offerto la cioccolata calda alla macchinetta prima di andare a dormire.

–      Si, e magari anche con lo zucchero. Mamma …

–      Certo, o come? Amara?

–      Mamma non devi, lo sai che hai il diabete.

–      Lapo non scocciare. Piuttosto chiama Marina. Mi ha detto che lei non ha il coraggio di chiamarti. Cosa ti ha fatto quella povera ragazza?

–      Niente di grave non preoccuparti, la chiamo stasera.

–      Va bene, vado a mangiare ti saluto.

–      Ok mamma ciao …

–      Lapo, dammi retta quella ragazza ti vuole bene chiamala…

–      Ciao, ciao… ciao mamma.

Quella conversazione con sua madre gli fece tornare alla mente la discussione avuta con Marina e Anselmo dopo la lavata di testa ricevuta dal maresciallo Sforza. Forse aveva esagerato con la reprimenda ma con queste cose non si poteva scherzare.

Anselmo, duro come le pigne, aveva insistito a dire che era un loro dovere mettere a conoscenza le forze dell’ordine dei loro dubbi. Ma poi questi dubbi, su cosa si basavano? Solo su due elementi che erano fuori posto. Il primo uno scendiletto, ed il secondo un piccolo pezzetto di gomma. Non c’era altro. Era normale che il responsabile dell’ordine pubblico di Montalto si fosse arrabbiato così tanto. Aveva ragione. Anche se, bisognava ammetterlo, nessuno fino a quel momento era riuscito a dare una spiegazione logica a quei due fatti.  Ma da qualche parte la spiegazione doveva esserci. Probabilmente era banale e quando gli fosse venuta in mente gli sarebbe sembrata logica e non avrebbe capito come aveva potuto non pensarci prima. Ma al momento alle domande di Anselmo non sapeva rispondere in maniera convincente. Mentre rincorreva i suoi pensieri si affacciò Susanna alla porta con una busta gialla in mano, e porgendogliela disse:

–      Mentre eri al telefono è venuto l’ufficiale giudiziario per una notifica, me la son fatta consegnare. Ho fatto bene?

Lapo, presa la busta, guardò il timbro apposto un po’ di traverso; veniva dal Tribunale di Firenze, dalla cancelleria della volontaria giurisdizione. La aprì usando il coltellino proveniente dall’abbazia di Vallombrosa, un regalo che gli aveva fatto suo nonno quando era ancora un bambino e che usava come tagliacarte. Ne tirò fuori una lettera piegata in quattro scritta su una carta di bassissima qualità, quella classica usata dagli uffici pubblici. Lesse a voce alta, visto che Susanna era rimasta curiosa in piedi davanti a lui ad aspettare di sapere quale novità avesse portato l’ufficiale giudiziario. Era ansiosa di natura e le notifiche del Tribunale, nonostante ne avesse viste decine, non la lasciavano mai tranquilla.


Il sottoscritto cancelliere presso il Tribunale di Firenze,

Premesso che

In data 29 maggio 2010 decedeva in località Montalto nel comune di Borgo Mulino in provincia di Firenze la signora Lulli Mina nata a Borgo Mulino il 28/11/1925;
La morte è da attribuirsi a cause naturali ed è stata constata dal dott. Ezio Migliorini;
Il de cuius non risultava avere eredi naturali;
Il de cuius non ha lasciato testamento;
Visto

l’art. 528 del Codice Civile;
l’istanza presentata dal Rag. Domenico Mori.
Nomina curatore dell’eredità giacente il Rag. Lapo Corsini nato a Borgo Mulino il 18/02/1962.

Niente pervenendo a questa cancelleria entro sette giorni dalla notifica della nomina questa si intenderà accettata ed il nominato nel pieno delle facoltà e degli obblighi di cui all’ufficio.

Firenze 11/06/2010.

Il cancelliere

Dott. Dagostino Gaetano


Appresa la notizia Susanna si lasciò scappare:

–      Meno male! Ero già con lo Xanas in mano, un’ansia tutte le volte !

Fra i difetti per il mantenimento dei quali la segretaria modello si sarebbe battuta strenuamente c’era un uso un po’ troppo disinvolto degli ansiolitici.

–      Ma dai, possibile che dopo tutti questi anni sia ancora in preda al panico ad ogni notifica? Guarda che non lavori per Berlusconi, a me al massimo possono notificare una multa.

–      Non so che farci è più forte di me, il Tribunale mi ricorda la galera.

Alla parola galera il ragioniere fece le corna con la destra e si toccò con la sinistra, poi commentò quanto appena letto traducendo dal linguaggio burocratese.

–      E’ la nomina a curatore dell’eredità giacente della signora Lulli, quella della casa di riposo. Quando qualcuno muore senza eredi il Tribunale incarica un professionista per la gestione dell’eredità fino al momento dell’assegnazione allo Stato di quanto lasciato dal de cuius, cioè per l’appunto da colui che lascia un’eredità. Il ragionier Mori mi ha segnalato per questo incarico. Il Mori è una brava persona

–      Vuoi chiamarlo per ringraziarlo?

–      Si, brava. Passamelo che lo avverto della nomina. Dovrò anche andare a prendere un po’ di documenti da lui.

Susanna tornò alla sua scrivania. Era veramente la segretaria perfetta. Capiva ancor prima che il capo aprisse bocca cosa avrebbe chiesto, e lo anticipava sbagliando raramente.  Gestiva le notizie con estrema sensibilità, senza venir mai meno ai suoi doveri, sapeva scegliere i momenti e le parole giuste e questo agli occhi di Lapo era un pregio inestimabile.

Suonò il telefono sulla scrivania di Lapo e nello stesso momento la voce di Susanna dall’altra stanza lo avvertì.

–      Il ragionier Mori, prendilo.

Lapo schiacciò il pulsante rosso che lampeggiava sulla console del telefono e volutamente con voce squillante salutò il collega.

–      Ciao Mori, come và?

–      Adesso glielo passo, un attimo prego.

Gli rispose una voce professionale di giovane donna dall’altra parte. Aspettò qualche secondo ascoltando una versione gracchiante di “Imagine” prima che all’altro capo si rifacessero vivi.

–      Ciao Corsini. Tutto a posto?

–      Tutto bene Mori, tutto bene. Ti chiamavo per la successione Lulli. Mi hanno nominato curatore. Grazie per la segnalazione e a buon rendere.

–      Non ringraziarmi l’ho fatto in coscienza, ho stima di te. Vediamoci domani, nel primo pomeriggio se per te va bene, che ti consegno un po’ di documenti. Devo anche chiederti una cosa, ma a quattr’occhi quando ci vediamo.

–      Per me va benissimo domani. Sono da te alle tre e mezzo.

Lapo moriva dalla curiosità per la cosa che doveva dirgli a quattr’occhi ma non volle darlo ad intendere al collega, così lo salutò senza farne più cenno.

Erano passati sedici giorni dalla morte della Mina e da quel momento quella donna per un verso o per un altro non lo aveva più lasciato. Aveva avuto con lei molti più contatti dopo morta che finché era stata in vita. Per anni l’aveva intravista a Villa la Querce senza mai interagire con lei, adesso lui era addirittura il curatore della sua eredità. Che strana la vita. Prese una cartellina gialla e con il pennarello nero vi scrisse sopra “Mina Lulli – eredità giacente”. Spillò la busta alla lettera del Tribunale e ripose il tutto all’interno della cartellina che pose sopra ad una pila di fascicoli sul lato sinistro della sua spaziosa scrivania. Gli tornò in mente la cartellina del maresciallo Sforza quasi uguale alla sua. I pensieri, se ci si fa caso, sono legati come i vagoni di un treno che escono uno ad uno in fila dalla galleria buia della nostra coscienza. Quel ricordo se ne tirò dietro un altro: il maresciallo Sforza con in mano le deposizioni di Marina e Anselmo e le sue parole “Strappo?” e loro tre, come tre coglioni tutti insieme allegramente avevano risposto “Strappi!”. L’immagine più vicina a quella situazione che gli venne in mente furono Fantozzi, Filini e la signorina Silvani.

Il vagone che uscì dalla galleria dopo quello della signorina Silvani fu quello di Marina e si ricordò che doveva chiamarla.

Prese il cellulare, entrò in “contatti”, iniziò a scrivere “Camp” e il telefono autonomamente selezionò “Campanelli Dario” e “Campolmi Marina”. Il pollice sfiorò “Campolmi Marina” evidenziandola. Poi schiacciò “Chiama”. L’impulso partì alla velocità della luce, raggiunse la cellula più vicina in cima ad un palazzo, da lì fu spedito ad una centrale telefonica dove gli fu detto dove andare per trovare il telefono che corrispondeva al numero di Marina Campolmi, proseguì fino ad una cellula posta su un palo in cima ad una collina. Era lì che era collegato il telefono di Marina, e da sopra il palo l’impulso di chiamata rimbalzò allo  smartphone della donna.

Marina stava registrando al computer le presenze dei dipendenti della struttura dei primi quindici giorni del mese, erano le quattro del pomeriggio ancora due ore e avrebbe finito. Sarebbe passata a fare un po’ di spesa perché non aveva più niente nel frigo e poi avrebbe dovuto stirare, magari davanti alla tivù.

Da dentro la borsa il telefono iniziò a suonare, non era la solita suoneria, questa se l’era fatta fare da un suo amico, era speciale, era “Two princes” degli Spin Doctors, ed era la suoneria assegnata a Lapo. Quella canzone l’aveva sentita con lui la prima volta che avevano fatto l’amore, per questo era speciale. La ragazza rispose e la conversazione che si udì a Villa la Querce suonò così:

–      Ciao Lapo.

–      Volevo scusarmi … ma no … non preoccuparti avevi ragione tu, mi sono fatta trascinare da Memo.

–      …Ok tranquillo ho capito… no, non sono arrabbiata. Avevi ragione, e aveva ragione anche il maresciallo.

–      Stasera? …niente di bello, mi toccherà stirare.

–      Certo che mi va. A che ora?

–      Faccio una doccia e alle otto sono da te … così ti aiuto.

–      Ok … non ti aiuto …

–      Scemo … stavolta la doccia la faccio a casa …

–      Ciao, a dopo.

“Evvai !” mimò Marina tirando a se il braccio a 90 gradi con il pugno chiuso. “A cena da Lapo. Stasera perizoma delle grandi occasioni!”. Si vergognò di quel pensiero non certo da signora e si guardò intorno come se l’avessero potuta sentire. In realtà in quel momento nella hall c’erano solo un paio di ospiti della casa di riposo che stavano lavorando all’uncinetto sedute sul divano vicino alla finestra. Ma riflettendo anche ci fosse stato l’intero coro della Cappella Sistina non avrebbero potuto leggerle nel pensiero, e lei l’aveva solo pensato di … fare l’amore con Lapo.

Ci voleva poco a farle cambiare umore, a tramutare una serata noiosa in una felice: bastava Lapo.

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