image1LA MINA

Capitolo uan – L’arrivo

– Chi è ?
– Lapo Corsini.
Dopo aver suonato ed essersi annunciato al citofono di Villa La Querce la serratura della porta a vetri comandata a distanza scattò con una lunga vibrazione acconsentendo al suo ingresso.
Entrato nel grande atrio che costituiva sia la reception che la sala d’attesa per i visitatori si avviò verso il bancone con passo lento e gli occhi sulle mattonelle di graniglia tendente al rosa del pavimento. Con la coda dell’occhio sulla destra notò una figura, alzati gli occhi da terra vide Anselmo Migliori che se ne stava in piedi vicino alla colonna. Aveva indosso la sua divisa, segno che nonostante fosse sabato lui era lì per lavorare. Giacca e pantaloni grigi rifiniti da una camicia azzurra un po’ sbiadita, indice delle tante lavatrici che la stessa aveva affrontato. Dall’occhiello della giacca gli faceva capolino il distintivo dell’ente per cui lavorava.
La sua presenza lì non era ben augurante. Si ricordò di aver visto nel parcheggio anche il furgone color canna di fucile che aveva sul fianco, stampate in nero, le stesse insegne che stavano sul distintivo della giacca di Anselmo.
Anselmo Migliori, classe ’61, era il dipendente della Misericordia di Borgo Mulino addetto alla preparazione e trasporto dei defunti. Il suo era stato fin dai tempi della scuola un destino segnato ed una missione a cui non avrebbe potuto sottrarsi visto che suo padre aveva vestito quei panni per circa trent’anni. Non proprio quelli a dire il vero perché all’epoca del padre la divisa era ridotta ad una semplice spolverina nera.
Se il Migliori era lì per qualcuno la giornata non era cominciata bene. Pensò il ragionier Lapo Corsini, un anno meno del Migliori ma con il quale aveva condiviso gli ultimi due anni di scuola a causa della bocciatura che aveva colpito il povero Anselmo. Accadde l’anno della quarta, quando la Samanta Rocca, rimasta poi l’amore della sua vita lo lasciò. A sostituirlo nel cuore di Samanta fu Sandrino, meccanico di professione che la veniva a prendere a scuola con le macchine dei clienti dell’autofficina di suo zio. La Samanta non ci aveva guadagnato molto a sostituire Anselmo nel suo cuore perché Sandrino oltre che sostituirlo nel cuore lo sostituì anche altrove e la figlia dell’appuntato Rocca rimase incinta alla giovane età di anni diciannove. Il padre di lei “convinse” in una fredda serata d’ottobre il suddetto meccanico che sarebbe stato un vero peccato se non avesse sposato la di lui figlia. Il giorno successivo Sandrino annunciò al bar “Micheli”, con tanto di brindisi con prosecco, che si sarebbe presto sposato con la Samanta e che quell’occhio nero era il frutto di una accidentale caduta per le scale rimediata la sera prima.
Quel matrimonio non aveva mai funzionato e Sandrino gliene aveva fatte passare delle belle alla povera Samanta prima di “rottamalla”, come diceva lui, insieme ai due figli all’età di quarant’anni. Il posto del “rottame” fu preso nella vita di Sandrino da una rumena più giovane quindici anni della moglie e che lui aveva miracolosamente salvata dai pericolosi proprietari del nightclub in cui l’aveva conosciuta.
Anselmo fece un cenno di saluto con la testa all’indirizzo di Lapo che gli rispose con un sorriso poco convinto in segno di rispetto per il morto che doveva essere lì sdraiato da qualche parte …
… oh cazzo, la mamma!
In quei pochi passi che lo separavano dal bancone e che iniziarono a scorrere in slowmotion gli passarono in testa in ordine i seguenti pensieri:
Se le fosse successo qualcosa lo avrebbero avvertito. Di sicuro prima lui che Anselmo.
Ieri sera l’aveva sentita e stava bene.
Nessuno gli aveva ancora messo un braccio intorno al collo o gli si è parato davanti facendogli le condoglianze;
Marina lo stava guardando e non aveva una faccia particolarmente triste.
Tutto ciò però non riusciva a sciogliere il nodo scorsoio che gli si andava formando in fondo all’esofago e che si stava stringendo sempre di più.
– Tranquillo Lapo tua madre sta bene … non è lei.
Marina, la ragazza della reception aveva seguito con lo sguardo il suo arrivo dopo avergli aperto la porta e non le era sfuggito che dopo il saluto ad Anselmo l’espressione della faccia del nuovo visitatore era repentinamente cambiata. Aveva capito subito quali pensieri avessero generato i tanti neuroni presenti sotto il cuoio capelluto di Lapo, ed aveva cercato di rassicurarlo immediatamente.
Alle parole di Marina sentì il nodo sciogliersi, i muscoli facciali rilassarsi ed il respiro riprendere il suo ritmo naturale dopo aver inspirato e soffiato via una bella quantità di aria.
– Grazie Marina …
– Di niente Lapo.
– Quando ho visto Anselmo … azz… che botta.
Marina era sempre dolce con lui probabilmente in ricordo della loro storia. Era successo un paio d’anni prima, non era durata molto, forse sei o sette mesi non ne era sicuro ma l’aveva conosciuta per Pasqua e, mutuando una espressione usata per gli allenatori esonerati, la poveretta non aveva mangiato il panettone. Quindi i tempi della relazione erano stati più o meno quelli, sei o sette mesi. Come sempre lui era stato abilissimo a scivolare via al primo manifestarsi all’orizzonte degli inevitabili rompimenti di zebedei di una storia troppo lunga. Nella sua migliore tradizione era stato altrettanto bravo a farsi lasciare da lei evitando di crearsi un’acerrima nemica, ma anzi insinuando in lei un velato senso di colpa. Erano ancora amici e qualche volta si erano anche ripromessi di dar vita ad un revival che non erano mai riusciti a mettere in piedi. Marina era una brava e semplice ragazza che aveva capito e preso con filosofia l’esigenza di libertà di quel ragioniere di provincia, al massimo sospirando con qualche amica “… lui è fatto così, che ci vuoi fare?”.
Lavorava presso la reception di Villa la Querce ed aveva sempre mostrato un occhio di particolare attenzione verso quella che sarebbe potuta essere sua suocera, Agnese Razzi sposata Corsini, mamma di Lapo.
– Deve essere ancora nel refettorio vai da solo a prenderla?
– Tranquilla conosco la strada. Ma chi sta servendo Anselmo ?
– La Mina. L’abbiamo trovata stecchita in camera sua stamani mattina.
– Dispiace sempre anche se non era proprio …
E si fermò ricordandosi che stava comunque parlando di un morto.
– Stavolta è partita davvero, era una vita che aspettava che la portassero via.
Disse tristemente Marina a bassa voce riferendosi alla postura della defunta che da viva sembrava sempre in partenza.
– Non credo volesse che fosse Anselmo a portarla via.
Chiosò amaramente Lapo avviandosi verso il corridoio che portava al refettorio.
Trovò sua madre in piedi che stava guardando fuori dalla finestra incurvata in avanti e appoggiata con tutte e due le mani al suo bastone. Era ben vestita. La gonna grigia, il cardigan beige la camicia lilla di cui si vedeva solo il colletto. Il crocchio grigio sulla testa era tenuto in ordine da diverse forcine.
Era uno splendore del quale sicuramente doveva ringraziare anche Marina. Sapeva che ogni sabato mattina Lapo si presentava a Villa La Querce e c’era da scommettere che si facesse sostituire dieci minuti alla reception per salire a controllare cosa si fosse messa addosso Agnese ed ad aiutarla con il crocchio prima dell’arrivo del figlio.
– Ciao mamma come stai ?
Le disse Lapo chinandosi verso di lei per appoggiare la guancia contro la sua e con un lato della bocca darle un bacio.
L’anziana donna lo guardò sorridendo e aspettò il suo bacio.
– Sto bene, ma sei venuto solo?
– Si mamma … solo.
– Il babbo non è venuto? Mi aveva detto che oggi si sarebbe tornati a casa.
La signora Agnese era ormai da qualche anno affetta da demenza senile e due cose soprattutto non accettava: la morte del marito e la lontananza dalla casa dove avevano abitato i coniugi Corsini per quarantacinque anni. Questo rendeva particolarmente penoso per Lapo andarla a trovare perché doveva ogni volta riprendere coscienza di quanto sua madre non ci fosse più con la testa. Era la sua mamma e vederla così gli faceva venire ogni volta il nodo alla gola. A dire il vero certe volte quella strana malattia gli faceva fare, anche delle grandi risate per le fesserie che metteva in bocca a quella dolcissima donna.
– Mamma il babbo non è potuto venire.
I medici gli avevano detto che sarebbe stato perfettamente inutile dirle che Ugo Corsini, suo padre era morto dieci anni prima di un male incurabile.
– M’immagino sarà rimasto con Dikke. Chissà come starà male quando quella bestia morirà.
Dikke, il cane da caccia di suo padre, non gli era sopravvissuto a lungo. Dopo tre giorni che avevano seppellito il suo padrone Lapo dovette occuparsi anche della buca per Dikke ed ora riposava in fondo all’orto.
– Si mamma sono insieme il babbo e Dikke. Vieni andiamo a fare due passi in giardino oggi non fa freddo.
I due s’incamminarono lungo il corridoio di ritorno dal refettorio, lei con il bastone nella mano destra e con il braccio sinistro sotto a quello destro di suo figlio che cercava di camminare piegato in modo da non farle tenere il braccio troppo in alto. Questa era l’immagine che Marina si stava gustando mentre parlava al telefono dal suo posto di lavoro dietro il bancone della reception.

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