image1La Mina

Capitolo faiv –  Il mare.

“… Ma dove cazzo vanno a quest’ora di mattina? ” fu il primo pensiero che Lapo ebbe appena uscito dal portone di casa.

Al mattino non era mai di buon umore, specialmente fino a che non aveva fatto colazione al bar. Il mondo la fuori lo infastidiva, in quel momento della giornata prediligeva il mondo intimo dei propri pensieri, e cercava di limitare i contatti con il mondo esterno a quelli strettamente necessari. Vedendo passare un gruppo di ciclisti, piuttosto che un’auto di cacciatori o un pulmino di giovani atleti non riusciva a non porsi la fatidica domanda che gli spalancava le finestre di un’altra giornata in mezzo ai suoi simili:  “ma dove cazzo vanno a quest’ora di mattina?”

Riconosceva l’arroganza e la stupidità di quel suo stato d’animo ma non poteva farci niente. Anzi proprio perché si sentiva banalmente stupido, il suo senso di frustrazione aumentava rinchiudendolo all’interno di un loop, la cui unica via d’uscita passava da un caffè e una brioche.

Quella mattina, in particolare, trovò da ridire su due anziani signori che avevano avuto l’ardine e la necessità di parcheggiare la loro “panda pulciosa” nell’unico parcheggio libero davanti alla pasticceria. L’appuntamento con Marina era per le 8,30 alla pasticceria Pandolfi nel corso a Borgo Mulino. Meno male che Marina era già fuori della porta ad aspettarlo, almeno avrebbe preso subito un buon caffè e si sarebbe levato di bocca quell’odioso sapore di dentifricio.

Al sorriso di Marina rispose porgendole la mano in un gesto tanto formale quanto inopportuno che chiaramente fece intendere a Marina quanto i neuroni  di Lapo fossero per lo più ancora nelle loro brande. Lapo spinse la porta a vetri e lasciò entrare Marina per prima.

–      Buongiorno dottore, macchiatino?

“Ma sarà cretino questo?” pensò, invece disse a bassa voce a Marina che gli si fece vicina con l’orecchio per sentire,

–      Sono anni che gli ripeto che non sono dottore, e lui continua.

–      Te lo dice solo per rispetto.

–      Si ma non voglio che la gente pensi che sono io a volermi far chiamare dottore.

–      Ma dai, stai sereno, che  t’importa della gente. Mi ordini un tè per favore ?

–      Un caffè macchiato e un tè.

–      Subito dottore !

“e ti pareva che non rimarcasse, questo è proprio scemo”

L’unica cosa buona di quell’uomo era che, senza bisogno di parlare, e questo era importantissimo al mattino, gli preparava il caffè e quindi la domanda che gli poneva ogni mattina dopo averlo salutato era pleonastica.

Fecero colazione appoggiati al banco della pasticceria.  Anche a quell’ora di domenica mattina era pieno di clienti e questi con il loro brusio o semplicemente occupando lo spazio infastidivano il ragionier Corsini. Finita la colazione e realizzato che sarebbe stata una giornata di vacanza il suo umore migliorò sensibilmente ed il primo ad avvantaggiarsene con qualche monetina fu il ragazzo nero che stava fuori della porta a far finta di vendere le sue inutili mercanzie.

Salirono sulla Giulietta di Lapo e presero la provinciale per andare a Villa la Querce dove li aspettava Agnese.

Solo quando tutti i suoi neuroni ebbero ripreso le loro normali funzioni, Lapo fece caso all’aspetto di Marina.

Aveva un vestito rosso tutto svolazzante, con grandi fiori grigi  che le si fermava giusto sopra il ginocchio. Lo scollo tondo le dava un tono allegro ma allo stesso tempo casto. Sopra, vista l’aria fresca mattutina, il giubbotto di jeans ben scolorito. Lapo si ricordò che quel Levi’s era uguale al suo e che glielo aveva regalato lui di ritorno dal viaggio negli States. A lui però non stava più. Quel vestito semplice e allegro era interrotto da una cintura in cuoio con una gran fibbia ovale che le si appoggiava sui fianchi, ed era perfettamente in tono con il giubbotto di jeans. Il vestito non era attillato ma lasciava indovinare un seno ben proporzionato. Quella cintura evidenziava un giro vita che era una vera e propria introduzione ad un fondo schiena riconosciuto in paese, fra la fauna maschile, come uno dei meglio conservati nonostante i quarantatré anni suonati di Marina. Le sue gambe lunghe e dritte si infilavano in un paio di ballerine anche loro color cuoio e l’immagine risultava semplice, dolce ma soprattutto fresca, completata com’era dai capelli castano chiari raccolti in una coda ben pettinata e da un viso acqua e sapone. In effetti Marina era sempre una bella ragazza, oddio ragazza … oramai si parlava di donna matura ma fra coetanei rimane sempre questo vezzo di chiamarsi ragazzi fossero anche “ragazzi” di ottant’anni. Mentre entravano nel cancello di Villa la Querce, gli tornò alla mente che persino sua madre indicava come  ragazzi gli ospiti della residenza per anziani. Appena l’auto si fermò, Marina scese e andò a prendere Agnese mentre Lapo si mise a cercare alla radio un notiziario, li preferiva di gran lunga alla musica.

Marina e sua madre ci misero troppo tempo per tornare e stavano per mettercene altrettanto nella classica discussione “vai tu davanti … no vai tu … no tu“ quando furono interrotte dal clacson della Giulietta di  Lapo che, spazientito,  volle dirimere la questione a modo suo. Neanche a dirlo, Agnese l’ebbe vinta e si fiondò sul sedile posteriore, lasciando a Marina l’onore di fare compagnia al figlio e l’onere, in caso di incidente, di essere sbalzata fuori dal parabrezza. Sedendosi davanti, Marina fece capire a Lapo con uno sguardo che non c’era stato niente da fare e che sua madre aveva voluto andare dietro.

–      Va bene così, starà comodissima.

La tranquillizzò prima di essere sorpreso da sua madre.

–      O cos’è questa novità che mi portate al mare ?

Lapo interrogò Marina con lo sguardo.

–      Si, Lapo tua madre non si ricordava che avevamo fissato di andare a Viareggio.

–      Senti Marina io ancora non mi sono rincitrullita, voi non mi avevate  detto un bel niente, comunque vengo volentieri se non son d’impiccio.

–      Mamma, come d’impiccio ma se sei stata tu ad organizzare tutto!

–      Io ? … ho già capito avete voglia di ridere, ma è giusto visto che siete ancora giovani … poi alla mia età ci sarà meno da ridere.

L’autista ed il primo passeggero si dettero un’occhiata d’intesa e non dissero più niente a tal proposito. Qualsiasi cosa, sarebbe stata di troppo.

La giulietta rossa, un vezzo che Lapo si era concesso in onore alla sua passione per le auto sportive, si fermò nel parcheggio del cimitero di Borgo Mulino. Scesero Lapo e Marina, fecero alcuni passi  in direzione dell’entrata del cimitero, poi si fermarono, si guardarono, si girarono indietro, aspettarono qualche secondo. La mamma non era scesa e non sembrava intenzionata a farlo. Lapo alzò gli occhi al cielo e disse facendo il percorso appena fatto a ritroso,

–      Ora cosa ci sarà ?

Marina alzò le spalle, strinse le labbra, spalancò gli occhi e lo seguì. Affacciandosi alla macchina Lapo chiese sfiduciato

–      Allora mamma?

–      Allora cosa?

–      Si doveva andare al cimitero?

–      Al cimitero a fare che, la mia mamma è nel cimitero di Cimacurva il mio babbo non so neanche dove sia …scusate cosa ci vengo a fare al cimitero?

–      Mamma … il babbo …

–      Ecco già il babbo perché non viene al mare? Che è rimasto con Dikke anche oggi?

–      Si con Dikke mamma … sono a caccia insieme.

I due da sopra il tetto della macchina si dettero un’occhiata d’intesa, risalirono a bordo e partirono alla volta di Viareggio.

Trascorsero una splendida domenica al bagno “Adele”, la mamma con il suo cappello di paglia bianco seduta sulla poltrona, Lapo sulla sdraio, occhiali da sole, dorso nudo e  jeans. Tutti e due riparati dall’ombrellone mentre Marina in due pezzi prese il sole distesa sull’asciugamano. Pranzarono al ristorane del bagno, chiesero un tavolo all’esterno per godersi la vista, il sole ed il profumo del mare, il ristoratore-bagnino li fece accomodare al bordo del giardinetto all’ombra di una tenda proprio vicino alla spiaggia. Agnese non volle saperne della pasta in bianco e nemmeno del branzino al forno con le verdure, e allora furono tre paste allo scoglio e tre fritture di paranza, “alleggerite”  da due foglie di insalata, ed il tutto ammorbidito da vino bianco fresco.

Dopo pranzo Marina si prese cura della ex possibile suocera requisendo la sdraio a Lapo che dovette sdraiarsi sull’asciugamano a fare la sua pennichella. Agnese fu sistemata con cura; Marina usò il suo asciugamano di riserva per costruire un cuscino di fortuna che risultò così comodo da  conciliare alla più anziana della comitiva circa un’ora di sonno russato.

“Tale madre tale figlio” venne da pensare a Marina quando i due Corsini iniziarono a russare alternandosi in un duetto che suscitò l’ilarità di due bambini che giocavano con la sabbia nei pressi dell’orchestrina improvvisata.

Ripartirono presto perché a Villa la Querce la cena veniva servita alle sette in punto e prima di andare a cena Agnese avrebbe dovuto darsi una ripulitina e cambiarsi almeno le calze che erano piene di sabbia.

Alle 18 Agnese era stata depositata  nella sua stanza, ed erano state impartite le consegne ai turnisti domenicali per assisterla nella pulizia e nella vestizione. Marina aveva raccomandato ad una collega di farla mangiare poco a cena visto che aveva mangiato anche troppo a pranzo.

Agnese prima di salire aveva ringraziato il figlio e la ragazza facendoli commuovere entrambi quando ricordò come purtroppo il babbo non potesse più godere di belle giornate come quella, ma che sicuramente da lassù oggi li aveva benedetti tutti e tre mentre se la rideva accarezzando il suo amato Dikke.

Che incredibile malattia!

Uscirono in silenzio, in silenzio salirono in macchina ed in silenzio arrivarono al luogo di ritrovo del mattino.

–      Prendo due pizze rimani a mangiare da me ?

–      Ma … non so … devo fare la doccia.

–      Oh la doccia … quella cosa dove ti cade l’acqua in testa … ce l’ho anch’io … dopo tanti sacrifici ce l’ho fatta …

–      Scemo intendevo dire …

–      Cosa volevi dire? Non sarebbe certo la prima volta che fai la doccia da me.

–      E’ passato del tempo …

–      Oggi mi è sembrato che non ne fosse passato affatto … mi è sembrato tutto così naturale.

–      Hai ragione … sono stata benissimo … grazie.

Mentre si guardavano girati l’uno verso l’altra, l’abitacolo ristringersi sempre più, fino a che le loro labbra si ritrovarono vicine, gli occhi si chiusero, il profumo di crema solare di Marina si fece più intenso addirittura una musica iniziò a suonare.

Ma era una musica conosciuta non adatta al momento, era una musica stonata.

L’auto si dilatò, gli occhi si aprirono, l’odore di crema solare scomparve.

–      E’ il mio …

Disse Lapo cercando di sfilarsi il telefono dalla tasca davanti dei jeans. Lesse sul piccolo visore del suo smartphone:

–      Memo?

–      Rispondi.

–      Ma no … sarà un’altra delle sue seghe mentali. Non ora.

–      Lapo … rispondi potrebbe essere importante.

Fra le manovre per tirare fuori il telefono dalla tasca e la discussione era passato troppo tempo, il telefono aveva smesso di suonare.

–      Vedi non era importante, ha riattaccato.

–      Per forza non hai risposto …

Lapo si girò di nuovo verso Marina per riprendere il discorso interrotto, ma in quel momento una suoneria diversa dalla prima iniziò a suonare da dentro la borsa di Marina. Visto quanto appena successo, lei vi immerse la mano con la stessa velocità che avrebbe usato se avesse dovuto catturare un pesce nell’acqua, e come se lo avesse veramente pescato,  estrasse il suo cellulare che si dibatteva proprio come un pesce appena estratto dall’acqua che cerca di liberarsi dalla presa. Soddisfatta per averlo trovato  al primo tentativo, cosa non facile da realizzare nella borsa di una donna specialmente se di grandi dimensioni, se lo portò all’orecchio.

–      Pronto… ciao Anselmo, … si è con me … certo te lo passo.

–      E’ Anselmo vuole parlare con te.

Lapo facendo con la mano il classico gesto  a dita raccolte sulle punte a significare “ma cosa vuole?” prese il telefono, e rispose scocciato,

–      Pronto Memo cosa c’è?

Seguì la risposta di Memo che causò in Lapo una pausa di silenzio.  I suoi occhi  iniziarono a muoversi al ritmo di frasi che Marina non riusciva a sentire e che cercava disperatamente di leggere in quei movimenti.

–      Adesso? … veramente volevamo mangiare una pizza. Se vuoi …certo … ok ti aspetto a casa mia.

Lapo coprendo con una mano il telefono e parlando a voce bassa  per  tenere privata la conversazione fra lui e Marina disse,

–      Come cavolo faceva a sapere che eravamo insieme? Dice che deve parlarci … prende lui le pizze e viene a casa mia. Come la vuoi la pizza?

–      Una margherita, grazie.

–      Una margherita per Marina una Napoli per me e due birre. Ok … ok … non correre dacci il tempo di fare l’amore almeno una volta.

–      Scemo ma cosa dici sei impazzito?

L’apostrofò Marina fra il serio ed il faceto.

–      Aveva già riattaccato, scherzavo!

Disse ridendo Lapo.

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