image1La Mina

Capitolo seven –  Sms.

Si era svegliato prima che la sveglia suonasse ma come tutte le mattine il distacco da Morfeo era stato lento. Appena aveva cominciato a fare i primi passi dall’incoscienza verso la coscienza, la prima sensazione era stata che per tutta la notte qualcosa lo aveva angosciato. Mentre la sua mente cominciava a correre verso la vita consapevole, il sogno, l’immagine, il pensiero o qualunque cosa fosse quella cosa indistinguibile che cercava di raggiungere cominciò  a correre avanti a lui. Correva veloce, tanto da distaccarlo. Si stava lentamente svegliando e vedeva farsi sempre più piccola quella cosa che correva davanti a lui;  sapeva che di lì a pochi secondi sarebbe sparita e non  l’avrebbe mai più  recuperata. Nell’istante stesso in cui fu consapevole di averla persa la perse per sempre. Era definitivamente atterrato nel mondo reale. Aprì gli occhi e come un bambino che mette insieme le prime sillabe per dire mamma riuscì a mettere insieme il primo semplice pensiero da sveglio. Aveva dormito ma non si era riposato.

Dalle persiane ben chiuse passava solo un leggerissimo chiarore che non lasciava  intendere che ora fosse. Allungò la mano verso il comodino, dopo il libro, gli occhiali ed una tazzina sporca di zucchero e caffè lasciata lì da qualche giorno, trovò quello che stava cercando: il cellulare. Lo toccò  e lo schermo s’illuminò ma solo dopo avere ritrovato gli occhiali sul comodino ed averli inforcati riuscì a leggere l’ora:

08:27

Fu una grande delusione: doveva alzarsi. I dubbi sull’esistenza di Dio si fecero fortissimi. Come poteva un Dio buono volere che i suoi figli dovessero lavorare per guadagnarsi da vivere? Perché un Dio buono avrebbe dovuto instillare nell’uomo suo figlio l’idea del possesso, della proprietà, dell’accumulo che lo porta a lavorare  per comprare, per mettere da parte, per salire nella scala sociale e quindi a doversi alzare da letto anche quando non ne avrebbe voglia? Questi erano dubbi ricorrenti al mattino, dettati dalla sua personalissima interpretazione del “pessimismo cosmico” di leopardiana memoria.

Subito sotto l’orario, il telefono riportava un avvertimento evidenziato in verde:

“Messaggio da Marina Campolmi”.

I contatti erano memorizzati sul suo telefono rigorosamente con nome e cognome. Era una regola che Lapo si era imposto in onore alla sua passione per l’informatica fin dal primo cellulare: il mitico Startac Motorola. Con questo semplice ma inderogabile accorgimento, i suoi contatti erano sempre facilmente reperibili. Non doveva fare alcuno sforzo per capire se Michele era il suo dentista, l’idraulico, oppure aveva sbagliato nella fretta a scrivere il nome della Hunziker dopo una notte sfrenata di sesso. La terza ipotesi, inutile sottolinearlo, era puramente accademica. La regola, come si diceva, era rigida e non vi sfuggiva neanche sua madre, unica concessione il cognome da sposata, ma anche lei sul suo telefono era iscritta come “Agnese Corsini”. Semplice, efficace e nessun imbarazzo quando sullo schermo appariva chi stava chiamando o mandando messaggi.

Quindi quella Marina Campolmi altri non era che la sua amica Marina, quella che la sera prima era uscita come la Venere del Botticelli dalla sua doccia. Il messaggio era delle 06:43 e diceva semplicemente:

“Buona giornata.”

Pensò a cosa poterle scrivere, ma era ancora troppo presto e quel bambino che aveva saputo dire solo mamma pochi attimi prima non riuscì a trovare niente di meglio che un banale:

“ … anche a te.”

Si alzò, fece la doccia che la sera prima non era riuscito a fare. Con calma si preparò, si vestì pensando a quello che avrebbe dovuto fare durante la giornata ed optò per un abbigliamento informale ma professionale. Jeans, camicia azzurra e giacca blu. Un tocco d’eleganza, il fazzoletto bianco nel taschino. Da sempre sua madre gli aveva detto che l’azzurro gli donava e lui s’era convinto di ciò ed ora il suo guardaroba era composto quasi totalmente da camicie di quel colore. Si guardò allo specchio, vestito così si sentiva a suo agio. Quando fu pronto per uscire, radunò sul mobile vicino alla porta le chiavi della macchina, il portafogli con la patente, e la posta che avrebbe dovuto portare in ufficio, in ultimo il cellulare. Sembrava ci fosse tutto, odiava tornare indietro una volta partito da casa. Distrattamente controllò se ci fossero messaggi.

“Messaggio da Marina Campolmi”.

Si fece scendere gli occhiali da presbite da sopra la testa fino sul naso e aprì il messaggio,

“ Vieni al funerale oggi?”.

“Mina, il funerale della Mina. Anselmo e la sua idea di omicidio. Il cadavere. Lo scendiletto. I guanti.” Tutto gli tornò in mente e dal pozzo dove era caduto anche il sogno fece capolino e lasciò intendere che c’entravano qualcosa tutti quei  discorsi della sera prima con la nottata agitata che aveva passato.

“No… non credo ho da fare in ufficio”,

rispose mentre si avviava verso la pasticceria “Pandolfi”. In fin dei conti, conosceva appena la signora Mina, e diciamoci la verità, simpatia zero. Inoltre si avvicinava la scadenza delle dichiarazioni dei redditi ed effettivamente da fare in ufficio ce n’era quanto si voleva. Queste, oltre alla banale ma universale considerazione che un funerale è sempre un gran brutto momento, lo liberarono da ogni senso di colpa circa la sua decisione di mancare all’evento.

Entrando nella pasticceria fu accolto all’ingresso dal solito neretto che gli dava il buongiorno sperando nella mancia quando sarebbe uscito. Oramai anche lui sapeva che dopo la colazione l’umore di Lapo solitamente migliorava sensibilmente, l’unico che ancora non aveva capito una pippa era il solito coglione che non mancò di confermare la sua idea appellandolo con il quotidiano:

–      Buongiorno dottore, macchiatino?

Lapo fece un cenno di assenso con la testa, che voleva dire “si fammi un caffè macchiato”, ma anche “si, confermato, sei proprio il re dei coglioni“. Si mise a mangiare la sua brioche al lato del bancone in disparte, evitando contatti con altri esseri umani. Era ancora troppo presto per una qualsiasi conversazione. Tanto per tenersi occupato e giustappunto per evitare che qualcuno pensasse di scambiare due chiacchiere con lui nell’attesa del “macchiatino” tirò fuori il cellulare per controllare la posta e vi trovò un altro messaggio di Marina.

“Tua mamma vuole andare al funerale la porto io”

Ecco che i sensi di colpa da sotto il tappeto degli impegni irrinunciabili saltarono fuori vendicativi e gli imposero una risposta più accondiscendente.

“Cercherò di fare il possibile per venire. Grazie comunque”

Mentre infilava il telefono in tasca questo vibrò di nuovo. Non aveva perso tempo. L’esperienza di Lapo in materia di sms gli fece pensare che la conversazione interessasse Marina forse oltre il funerale. Il messaggio stava tutto in una faccina:

“ 🙂 …”

Sempre facendo leva sulla sua decennale esperienza di corteggiamento via sms, decise che era arrivato il momento di virare la conversazione su l’argomento che probabilmente stava più a cuore a tutti e due, e buttò lì qualcosa che andasse in quella direzione. Spostandosi velocemente con il pollice della mano destra sullo schermo digitò,

“Grazie per ieri”.

Quella innocua frase apriva la strada a Marina per restringere la tecnologica conversazione a loro due. Sicuramente l’avrebbe colta pensò Lapo tenendosi un sorriso furbo dentro di se.

–      Grazie amico.

Gli disse il ragazzo di colore con un bel sorriso appena presa al volo la moneta che Lapo aveva lanciato in aria facendo leva con il pollice e l’indice della mano all’uscita dal bar. Dopo la colazione il mondo era diverso, specialmente nelle giornate di sole, e quella mattina il sole brillava. Guardando i palmi color caffellatte e la moneta da un euro che vi risaltava sopra, Lapo pensò che solo perché c’era il sole quella moneta era stata una moneta da un euro. Probabilmente, se fosse piovuto, l’utile netto per l’operazione “saluto al buana” che il neretto avrebbe portato a casa, non sarebbe andato oltre i venti centesimi. Per lui, l’utilizzo dell’energia solare aveva comportato un incremento percentuale degli utili del 500%. Alla faccia delle rinnovabili! Questo fu il pensiero ironico che portò il sorriso fin sulle sue labbra. Seguì la quasi quotidiana considerazione nei mesi primaverili ed estivi  di quanto fosse disdicevole dover lavorare in un ufficio in una bella giornata come quella e non poté fare a meno di invidiare tutti quelli che quel giorno avrebbero lavorato all’aria aperta.

Aspettò di sedersi in macchina per leggere la risposta di Marina che aveva sentito arrivare sul telefonino.

“Grazie a te. Sono stata benissimo”.

Più o meno quello che si era immaginato gli avrebbe risposto, e si complimentò con se stesso per la sua conoscenza del genere femminile in certe situazioni. Ora il ritmo andava tenuto alto. Non fece passare tempo e replicò mentre guidava con un occhio alla strada e uno al cellulare.

“Anche io e spero ci sarà modo di finire quel discorso … 🙂 ”

Secondo l’esperienza di Lapo la faccina finale dava un tono più leggero alla frase, gli avrebbe permesso, in caso di risposta fredda da parte di Marina, di sostenere che stava scherzando. Ma non ce ne fu bisogno perché Marina rispose in modo inequivocabilmente femminile, cioè con un equivocabilissimo:

“ Mi manchi”.

Sulla base della sua esperienza “Mi manchi” poteva voler dire molte cose. Per l’amor di Dio, tutte positive, ma quel corteggiamento aveva come per tutti gli animali, un unico obbiettivo, l’accoppiamento. Da quando aveva visto un documentario su Discovery Channel, Lapo paragonava il suo corteggiamento a quello che fa lo spazzino seduttore. Lo spazzino seduttore è un uccello che vive in Australia. Il manto nero tendente al blu è molto più bello di quello della femmina di un banale marrone cangiante al grigio. Il maschio è anche più grosso della femmina. In un rituale molto sofisticato, il maschio costruisce l’alcova che abbellisce con conchiglie, foglie, piume, e persino pezzetti di plastica colorata. La femmina, dopo averne visionate molte, sceglie in base all’opulenza dell’alcova in quale installarsi (classico no?). E’ a quel punto che il maschio inizia la sua danza ed i suoi canti in onore della pervenuta, ma non è finita, solo se la femmina sarà soddisfatta si concederà.

Come tutti i maschi anche Lapo non vedeva l’ora di saltare addosso alla pervenuta e quindi rispetto a quel “Mi Manchi” avrebbe preferito qualcosa di più definito, meno nebuloso. Insomma una risposta da uomo tipo “Stasera ti farò impazzire, vieni da me”. Gli sarebbe servita una risposta che lo riportasse a quella promessa che con gli occhi si erano scambiati la sera prima, quando Anselmo aveva suonato alla porta. Invece “Mi manchi” forse ricomprendeva anche quello, ma strizzava più l’occhio all’intera giornata precedente, ammiccava a quell’aria di gita familiare che avevano respirato durante tutto il giorno e che sicuramente Marina aveva fatta sua proiettandola in un futuro di coppia. Come la femmina dell’uccello australiano, Marina voleva che Lapo continuasse a cantare e ballare per lei.

Ma Lapo optò per un meno faticoso:

“Ci sentiamo più tardi”.

Al quale Marina non poté che rispondere con un:

“Ok”.

Entrò nel suo studio che oramai erano passate le nove e mezzo, salutò Susanna alla quale rivolse anche la domanda di tutte le mattine.

–      Novità?

–      Nessuna. Solo il Cavicchi che vuole un bilancio per la banca e la Mongini che ha bisogno di un appuntamento con te.

–      Ti ha detto cosa voleva la Mongini?

–      No. Ha detto che è urgente e che la richiami tu per fissare l’appuntamento.

–      Susanna …. Apri la finestra, cazzo! Tuo marito non vuole che fumi a casa e vieni a sfogarti qui ?

–      Che palle che fai Lapo hai fumato fino a ieri e ora …

–      Ora mi da noia sentire quest’odore quindi apri la finestra e non rompere!

Susanna, dopo un ultimo abbondante tiro, spense la sua sigaretta nel posacenere intonso e si alzò per aprire la finestra alle sue spalle.

Lapo, in piedi davanti alla scrivania, stava scegliendo la posta da lasciare alla sua segretaria e quella che doveva prendersi per sé. Non gli era sfuggita l’immagine del posacenere luccicante che lo portò a riflettere ad alta voce con tono sarcastico su un vizietto che come molti altri si era sedimentato con gli anni nella sua fedele collaboratrice.

–      Mi piacerebbe sapere dove butti la cenere visto che il posacenere è pulito.

Quando Susanna dopo aver aperto la finestra si rigirò verso la scrivania Lapo era già andato. Ma non potè non esprimere la sua sardonica riflessione circa l’inizio della giornata del suo capo.

–      Dormito male?

Gli urlò dietro.

Dal corridoio che portava alla sua stanza il capo le rispose ad alta voce per farsi sentire:

–      Sbagliato. Dormito benissimo.

“Ma come diavolo faceva quella donna ad indovinare tutto?”

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